Sentenza n. 181 del 2023

SENTENZA N. 181

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), promosso dalla Corte d’appello di Roma, sezione quarta lavoro, nel procedimento vertente tra G. R. e il Ministero della salute, con ordinanza del 21 settembre 2022, iscritta al n. 150 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di costituzione di G. R.;

udita nell’udienza pubblica del 6 giugno 2023 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;

udito l’avvocato Giuseppe Alberto Romeo per G. R.;

deliberato nella camera di consiglio del 6 giugno 2023.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 21 settembre 2022, la Corte d’appello di Roma, sezione quarta lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui non prevede che il diritto all’indennizzo, istituito e regolato dalla stessa legge, alle condizioni ivi previste, spetti anche ai soggetti che abbiano subito lesioni o infermità, da cui siano derivati danni permanenti all’integrità psico-fisica, per essersi sottoposti a vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, anti-papillomavirus (anti-HPV).

2.– Il rimettente espone che G. R. aveva proposto appello avverso la sentenza del Tribunale ordinario di Tivoli con cui era stata respinta la domanda, presentata dai genitori quando lei era ancora minorenne, vòlta a ottenere l’indennizzo previsto dall’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 e l’assegno una tantum di cui all’art. 3, comma 1, (recte: art. 2, comma 2) della medesima legge.

La Corte d’appello riferisce che, all’esito della consulenza tecnica d’ufficio, veniva accertato il nesso di causalità tra lo sviluppo della patologia, all’epoca già «emergente ed in fieri», e la somministrazione della terza dose di vaccino anti-HPV, che aveva «fatto acutamente emergere sul piano sintomatologico-clinico la patologia in questione (diabete)».

3.– Il giudice a quo reputa le censure rilevanti, in quanto l’appellante si era sottoposta alla profilassi nel corso di una campagna vaccinale contro l’infezione da HPV, che mirava a raggiungere una copertura «pari al 95% della categoria target», costituita da ragazze nel corso del loro dodicesimo anno di vita. Inoltre, era stato accertato il nesso di causalità tra il vaccino somministrato e la patologia riportata dall’interessata.

Pertanto, la Corte d’appello, esclusa la possibilità di accedere a un’interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione censurata, ritiene che solo una sentenza additiva di parziale illegittimità costituzionale consenta di riconoscere il diritto all’indennizzo.

4.– In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo deduce che la tutela indennitaria, inizialmente accordata dal legislatore nell’ambito delle vaccinazioni obbligatorie, è stata di seguito estesa anche alle profilassi «sollecitate da interventi finalizzati alla protezione della salute pubblica a seguito di significativi arresti della Corte Costituzionale, fino a ricomprendere conseguenze invalidanti di vaccinazioni assunte nell’ambito della politica sanitaria anche solo promossa dallo Stato».

Richiamando la sentenza di questa Corte n. 118 del 2020, il rimettente fa propria l’affermazione secondo cui, nella prospettiva della salute quale interesse della collettività, non vi è differenza qualitativa tra obbligo e raccomandazione, poiché, in presenza di diffuse e reiterate campagne di comunicazione a favore di un trattamento vaccinale, si sviluppa un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie. Tale affidamento «rende la scelta individuale di aderire alla raccomandazione obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo, al di là delle particolari motivazioni che muovono i singoli». Sarebbe, dunque, giustificata la traslazione in capo alla collettività, «obiettivamente favorita dalle scelte individuali», degli effetti dannosi che dovessero, per ipotesi, derivare dalle vaccinazioni raccomandate.

Di conseguenza, il giudice a quo sostiene che la mancata previsione del diritto all’indennizzo in caso di patologie permanenti derivanti dalla vaccinazione anti-papillomavirus, oggetto di diffuse e reiterate campagne di comunicazione e di raccomandazione, leda gli artt. 2, 3 e 32 Cost.

Conformemente a quanto sostenuto da questa Corte, «le esigenze di solidarietà sociale e di tutela della salute del singolo richied[erebbero] che sia la collettività ad accollarsi l’onere del pregiudizio individuale, mentre sarebbe ingiusto consentire che siano i singoli danneggiati a sopportare il costo del beneficio anche collettivo» (viene citata la sentenza n. 268 del 2017, che richiama la sentenza n. 107 del 2012).

5.– Si è costituita in giudizio G. R., parte del processo principale, la quale, a sostegno della fondatezza delle questioni, ha parimenti sottolineato le ragioni – riconducibili al principio di solidarietà – per cui, «sul piano degli interessi garantiti dagli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, è giustificata la traslazione in capo alla collettività, obiettivamente favorita dalle scelte individuali, degli effetti dannosi che eventualmente conseguano dalle vaccinazioni raccomandate».

Le affermazioni già accolte dalla giurisprudenza costituzionale (sono citate, in proposito, le sentenze n. 118 del 2020, n. 268 del 2017 e n. 107 del 2012) ben si attaglierebbero al caso oggetto del giudizio a quo, atteso che la campagna di vaccinazione in questione era stata avviata nel 2007 e che le somministrazioni, a seguito delle quali l’interessata aveva riportato danni irreversibili, erano avvenute tra febbraio e settembre 2009. A partire dal 2008, peraltro, le autorità sanitarie del Lazio avevano esercitato «un’intensa attività di raccomandazione, informazione e sensibilizzazione per l’esecuzione della terapia preventiva dell’infezione da papilloma virus», che mirava a una copertura superiore all’obiettivo statale del 95 per cento.

A ulteriore conferma dell’affidamento ingenerato nella comunità circa l’utilità, anche collettiva, della vaccinazione in parola, la ricorrente ha precisato che, «[n]ell’intesa Stato Regioni che prevedeva la strategia per la diffusione della vaccinazione contro l’infezione da HPV in Italia, gli operatori presso le strutture pubbliche del SSN e i medici di medicina generale [erano stati] identificati come un punto di riferimento essenziale per la famiglia», assieme alle associazioni dei genitori, alle società scientifiche e agli esponenti dell’ambito sanitario e della pubblica amministrazione.

6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio.

7.– Il 17 maggio 2023 è stata depositata, fuori termine, una memoria illustrativa della parte.

8.– All’udienza del 6 giugno 2023 è stata udita la difesa della parte, che ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 21 settembre 2022, la Corte d’appello di Roma, sezione quarta lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui non prevede che il diritto all’indennizzo, istituito e regolato dalla stessa legge, alle condizioni ivi previste, spetti anche ai soggetti che abbiano subito lesioni o infermità, da cui siano derivati danni permanenti all’integrità psico-fisica, per essersi sottoposti a vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, anti-HPV.

2.– Il rimettente argomenta la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, affermando che la vaccinazione effettuata era stata raccomandata dalle autorità competenti e che era stato accertato il nesso di causalità tra lo sviluppo della patologia permanente e la somministrazione della terza dose di vaccino anti-HPV.

Secondo il giudice a quo, stante l’impossibilità di percorrere la via di un’interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione censurata, solo la dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale della stessa potrebbe consentire di riconoscere alla parte danneggiata il diritto all’indennizzo.

3.– La Corte d’appello sostiene, inoltre, la non manifesta infondatezza delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., in quanto le esigenze di solidarietà sociale e di tutela della salute del singolo richiederebbero di far gravare sulla collettività l’onere del pregiudizio subito da chi si sia attenuto al comportamento raccomandato dalle autorità sanitarie competenti, in difesa della salute di tutti.

4.– Nel merito, le questioni sono fondate in riferimento a tutti i parametri evocati.

5.– L’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 prevede il diritto all’indennizzo a beneficio di chi abbia subito «lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica», a causa di «vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria nazionale».

Il diritto all’indennizzo, diversamente dalla pretesa risarcitoria che ha fonte nel compimento di un illecito, rinviene il proprio fondamento nel dovere giuridico di solidarietà che grava sulla collettività, là dove – per il tramite delle autorità competenti – sia richiesto al singolo di attenersi a una condotta che preservi non solo la salute propria, ma anche quella degli altri.

Chi adempia a tale obbligo, e riporti per effetto del vaccino una patologia con effetti menomativi permanenti della integrità psico-fisica, ha diritto, in base alla norma censurata, a un indennizzo, purché – come precisa l’art. 4 della medesima legge n. 210 del 1992 – sussista un nesso di causalità fra la somministrazione del vaccino e la lesione del diritto alla salute.

Il legislatore – in conformità a quanto già deciso dalla sentenza n. 307 del 1990 di questa Corte – ha, dunque, dettato una disciplina la cui ratio si rinviene nella reciprocità dei vincoli che scaturiscono dal principio di solidarietà: la collettività è tenuta a essere “solidale” e a tutelare il diritto alla salute di chi sia stato, a sua volta, “solidale” con gli altri, per aver tenuto un comportamento che protegge la salute di tutti.

«[S]e il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività (art. 32 della Costituzione) giustifica l’imposizione per legge di trattamenti sanitari obbligatori» – ha osservato questa Corte nella sentenza n. 27 del 1998 – «esso non postula il sacrificio della salute individuale a quella collettiva. Cosicché, ove tali trattamenti obbligatori comportino il rischio di conseguenze negative sulla salute di chi a essi è stato sottoposto, il dovere di solidarietà, previsto dall’art. 2 della Costituzione, impone alla collettività, e per essa allo Stato, di predisporre in suo favore i mezzi di una protezione specifica consistente in una “equa indennità”».

6.– A fronte della previsione legislativa di un diritto all’indennizzo correlato alle ipotesi in cui l’ordinamento impone un obbligo di vaccinarsi, questa Corte si è pronunciata più volte al fine di estendere il medesimo diritto in presenza di vaccinazioni che le autorità pubbliche sanitarie raccomandano a difesa della salute collettiva (sentenza n. 118 del 2020, con riguardo alla vaccinazione anti-epatite A; sentenza n. 268 del 2017, attinente a quella antinfluenzale; sentenza n. 107 del 2012, inerente alle vaccinazioni anti-morbillo, parotite e rosolia; sentenza n. 423 del 2000, relativa a quella anti-epatite B; e, infine, sentenza n. 27 del 1998, riferita alla vaccinazione antipoliomielitica).

7.– Al contempo, anche il legislatore è intervenuto nuovamente, rendendo obbligatorie e gratuite, per i minori di età da zero a sedici anni, molte delle vaccinazioni sopra citate, che in precedenza erano solo raccomandate (art. 1, commi 1 e 1-bis, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, recante «Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale», convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio 2017, n. 119). Inoltre, con l’art. 5-quater, dello stesso d.l. n. 73 del 2017, come convertito, ha precisato che le disposizioni «di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, si applicano a tutti i soggetti che, a causa delle vaccinazioni indicate nell’articolo 1, abbiano riportato lesioni o infermità dalle quali sia derivata una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica». E, in sede di conversione del decreto-legge, alcune vaccinazioni contemplate dal citato art. 1 (in particolare, quelle anti-meningococcica B; anti-meningococcica C; anti-pneumococcica; anti-rotavirus) da obbligatorie sono divenute raccomandate (sentenza n. 129 del 2023).

Di seguito, l’art. 20, comma 1, del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2022, n. 25, ha disposto la tutela indennitaria in caso di danni permanenti alla integrità psico-fisica conseguenti alla vaccinazione meramente raccomandata anti SARS-CoV-2.

8.– Evocato per rapidi tratti il quadro legislativo e giurisprudenziale nel quale si colloca la norma censurata, occorre ora richiamare le ragioni, e correlativamente le condizioni, che – secondo questa Corte – determinano la necessità costituzionale di riconoscere un diritto all’indennizzo a chi subisca una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica per essersi sottoposto a un trattamento vaccinale non obbligatorio.

Il dovere della collettività di riconoscere una simile tutela sussiste se il singolo si è attenuto a un comportamento che oggettivamente persegue la finalità di proteggere la salute generale: ciò che rileva è «l’esistenza di un interesse pubblico alla promozione della salute collettiva tramite il trattamento sanitario» (sentenza n. 423 del 2000; in senso analogo, sentenze n. 118 del 2020 e n. 268 del 2017).

Affinché, dunque, si instauri una corrispondenza fra il comportamento individuale e l’obiettivo della tutela della salute collettiva è necessario e sufficiente, da un lato, che l’autorità pubblica promuova campagne di informazione e di sollecitazione dirette a raccomandare la somministrazione del vaccino non solo a tutela della salute individuale, ma con la precipua funzione di assicurare la più ampia immunizzazione possibile a difesa della salute collettiva e, da un altro lato, che la condotta del singolo si attenga alla profilassi suggerita dall’autorità pubblica nell’interesse generale (sentenze n. 118 del 2020, n. 268 del 2017 e n. 107 del 2012).

Tramite la campagna vaccinale l’autorità pubblica fa appello alla autodeterminazione dei singoli (o alla responsabilità genitoriale, ove si tratti di vaccinazioni raccomandate ai minori), ingenerando «negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie» (sentenza n. 118 del 2020). Di conseguenza, in ambito medico, raccomandare e prescrivere finiscono per essere percepite quali azioni «“egualmente doverose in vista di un determinato obiettivo” (sentenza n. 5 del 2018; nello stesso senso, sentenza n. 137 del 2019), cioè la tutela della salute (anche) collettiva» (ancora, sentenza n. 118 del 2020).

«[L]a ragione determinante del diritto all’indennizzo» risiede, pertanto, nel perseguimento con la propria condotta dell’interesse collettivo alla salute e non nella «obbligatorietà in quanto tale del trattamento, la quale è semplicemente strumento per il perseguimento di tale interesse» (sentenza n. 226 del 2000; in senso analogo, sentenze n. 118 del 2020 e n. 107 del 2012).

La scelta tecnica dell’obbligatorietà o della raccomandazione, del resto, oltre a essere frutto di concezioni parzialmente diverse del rapporto tra singoli e autorità pubblica, può dipendere da condizioni sanitarie differenti nella popolazione di riferimento, spesso correlate a diversi livelli di rischio: tutti profili che non possono condizionare la previsione o l’assenza del diritto all’indennizzo.

Ferma, dunque, restando la diversità fra le «due tecniche», di cui l’autorità pubblica può ritenere di avvalersi (sentenze n. 118 del 2020, n. 423 e n. 226 del 2000), nondimeno tra obbligo e raccomandazione non si apprezza una diversità qualitativa (sentenza n. 268 del 2017).

9.– Alla luce delle ragioni e dei presupposti delineati dalla giurisprudenza di questa Corte, si deve ritenere che, nel caso della vaccinazione anti-HPV, la mancata previsione del diritto all’indennizzo vìoli gli artt. 2, 3 e 32 Cost., in considerazione della ampia e diffusa campagna vaccinale concernente tale profilassi.

9.1.– Nel periodo in cui la ricorrente si era sottoposta alla somministrazione del vaccino anti-HPV, nella Regione Lazio, e – più in generale – nel territorio nazionale, era in atto una estesa campagna vaccinale.

9.1.1.– Le autorità competenti, all’esito di una accurata indagine scientifica ed epidemiologica, avevano evidenziato il rischio di un’ampia diffusione del virus HPV, trasmissibile per via sessuale e coinvolto nell’eziologia sia di lesioni genitali (femminili e maschili), sia di talune forme di carcinoma (in particolare, alla cervice uterina).

La campagna vaccinale era stata preceduta dal parere, reso dal Consiglio superiore di sanità l’11 gennaio 2007, favorevole alla somministrazione del vaccino a spese del Servizio sanitario nazionale, nonché dall’intesa raggiunta in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano in data 20 dicembre 2007, che indirizzava il trattamento sanitario alle ragazze nel dodicesimo anno di età.

L’obiettivo previsto dall’intesa era il raggiungimento, nel termine di cinque anni, di una copertura vaccinale pari al 95 per cento della popolazione target, nella consapevolezza che «[l]a disponibilità del vaccino anti-HPV [avrebbe rappresentato], oltre che un’importante occasione di prevenzione individuale, soprattutto una rilevante opportunità per l’intera comunità».

Per tale ragione, sin da principio, era stato previsto l’inserimento delle dosi somministrate nell’anagrafe vaccinale ed era stata programmata una attività di monitoraggio, vòlta a verificare la copertura raggiunta. L’intesa, inoltre, promuoveva diffuse strategie di comunicazione, demandandole anche a organi statali, a partire dal Ministero della salute.

9.1.2.– In attuazione dell’intesa, le regioni si erano impegnate a gestire la somministrazione dei vaccini e a partecipare al programma di valutazione della loro efficacia e sicurezza, verificando l’impatto epidemiologico sulla popolazione «sia attraverso la rigorosa raccolta dei dati sia garantendo un’adeguata partecipazione ai programmi di studio in atto o di futura attivazione» (ancora, la citata intesa Stato-Regioni del 20 dicembre 2007).

Nello specifico, la Regione Lazio aderiva alla campagna vaccinale, aggiornando con delibera della Giunta regionale 29 febbraio 2008, n. 133, il «Piano Regionale Vaccini» e introducendo nel calendario la profilassi anti-HPV. A partire dall’aprile 2008, la stessa Regione avviava la fase attuativa.

9.1.3.– Si sono poi susseguiti a livello statale vari piani nazionali di prevenzione vaccinale che hanno contemplato la profilassi anti-HPV e hanno confermato le scelte strategiche indicate nell’intesa.

In particolare, negli anni, è stato rimodulato il programma relativo alla copertura vaccinale, in considerazione di un iniziale riscontro inferiore alle attese da parte della popolazione destinataria della raccomandazione (Piano nazionale prevenzione vaccinale 2012-2014). Successivamente, il trattamento è stato offerto a titolo gratuito anche ai ragazzi nel dodicesimo anno d’età (Piano nazionale prevenzione vaccinale 2017-2019), nell’acquisita convinzione che solo la immunizzazione degli «adolescenti di entrambi i sessi [avrebbe garantito] la massima protezione da tutte le patologie HPV correlate». Inoltre, sempre nel Piano nazionale prevenzione vaccinale 2017-2019 la raccomandazione è stata indirizzata ad ampio spetto e rivolta, in specie, a «tutte le donne».

Al contempo, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), all’Allegato 1, ha ascritto il vaccino anti-HPV fra i livelli essenziali di assistenza.

Da ultimo, nel Piano nazionale prevenzione vaccinale 2023-2025 è stato ribadito il fine della tutela della salute collettiva, costituito dalla «protezione anche degli individui non vaccinati attraverso l’immunità di gregge».

9.2.– L’attitudine della descritta campagna vaccinale a ingenerare un affidamento nella popolazione non viene scalfita dalla circostanza che essa sia stata inizialmente demandata alle regioni.

Seppure l’attività di pianificazione e di organizzazione sia stata da principio affidata alle regioni, «in considerazione delle diverse realtà dei Servizi Sanitari Regionali e delle loro modalità di funzionamento» (così il citato parere del Consiglio superiore di sanità dell’11 gennaio 2007), la campagna vaccinale si è sempre svolta sotto l’ègida dell’intesa del 20 dicembre 2007 e dietro diretto coordinamento del Ministero della salute, che aveva il compito di individuare le azioni di arruolamento attivo, comprendenti «interventi di informazione e comunicazione rivolti ai soggetti target e alle loro famiglie».

Inoltre – in linea con quanto già in passato sostenuto da questa Corte (sentenza n. 118 del 2020) – l’attività delle regioni ha trovato ampi «riscontri e corrispondenze nei piani vaccinali nazionali» (in particolare nei piani di prevenzione vaccinale 2012-2014, 2017-2019 e 2023-2025) e in atti ulteriori che «prescindono da riferimenti territoriali specifici».

10.– Conclusivamente, in conformità ai criteri individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 118 del 2020, n. 268 del 2017, n. 107 del 2012, n. 423 del 2000 e n. 27 del 1998), è dato ravvisare il presupposto della prolungata e diffusa campagna di informazione e di raccomandazione da parte delle autorità sanitarie pubbliche circa l’opportunità di sottoporsi alla vaccinazione contro il virus HPV «a presidio della salute di ciascun singolo, dei soggetti a rischio, dei più fragili, e in definitiva della collettività intera» (ancora, sentenza n. 118 del 2020).

Di conseguenza, l’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, nel non prevedere il diritto all’indennizzo per il vaccino anti-HPV, si pone in contrasto con i plurimi parametri costituzionali evocati nell’ordinanza di rimessione.

10.1.– Lede l’art. 2 Cost., poiché vìola il principio di solidarietà che impone alla collettività di essere, per l’appunto, “solidale” con il singolo che subisce un danno per essersi attenuto alla condotta raccomandata dalle pubbliche autorità a tutela dell’interesse collettivo (sentenze n. 118 del 2020, n. 268 del 2017 e n. 107 del 2012).

10.2.– Vìola l’art. 3 Cost., in quanto irragionevolmente pregiudica chi spontaneamente si attiene alla condotta richiesta dagli organi preposti alla difesa del diritto alla salute della collettività, rispetto a coloro il cui comportamento è adesivo a un obbligo giuridico presidiato da rimedi deterrenti (in senso analogo, sentenze n. 268 del 2017 e n. 27 del 1998). In particolare, una differenziazione che negasse il diritto all’indennizzo nel primo caso si risolverebbe in una patente irrazionalità della legge, poiché riserverebbe «a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione» (sentenza n. 27 del 1998).

10.3.– Infine, la norma censurata contravviene all’art. 32 Cost., poiché priva di ogni tutela il diritto alla salute di chi si è sottoposto al vaccino (anche) nell’interesse della collettività (così sentenze n. 15 del 2023, n. 5 del 2018, n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).

11.– Per le ragioni esposte, l’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 è costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui non prevede il diritto a un indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, a favore di chiunque abbia riportato lesioni o infermità, da cui sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa della vaccinazione contro il contagio da papillomavirus umano (HPV).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui non prevede il diritto a un indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, a favore di chiunque abbia riportato lesioni o infermità, da cui sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa della vaccinazione contro il contagio da papillomavirus umano (HPV).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Emanuela NAVARRETTA, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 26 settembre 2023